Torniamo indietro nel tempo, 55 anni fa ebbe luogo in Italia la Grande Olimpiade. Erano trascorsi solamente 15 anni dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale. Ne erano passati solamente 4 dai Giochi Invernali di Cortina d'Ampezzo. I membri del CIO furono conquistati dalla bellezza di Roma, la Città Eterna, che nei suoi monumenti racchiudeva secoli e secoli di un passato più o meno glorioso.

Il libro Roma 1960 di David Maraniss aiuta a rivivere quell'edizione dei giochi olimpici. All'epoca il mondo era diviso in due blocchi o sfere di influenza: quella occidentale capitalista filo Usa e quella orientale comunista, pro Urss. Lo sport non era certo estraneo a questo. Superare la potenza rivale in un campo di gara, alle Olimpiadi, rappresentava un'importante cassa di risonanza per la propaganda. Non meno importanti erano: la questione di Taiwan e i suoi rapporti con la Cina, il problema della Germania, l'esclusione del Sudafrica causa l'apartheid. Avery Brundage era il presidente del CIO, una sorta di padre padrone, non molto lontano da molte figure odierne attaccate alle rispettive poltrone. La difesa a oltranza del dilettantismo dal dilagare del professionismo si stava rivelando sempre più anacronistica. Roma 1960 viene considerata l'ultima Olimpiade con una concezione romantica dello sport, rappresentò uno spartiacque verso la modernità. Fece la sua comparsa il problema del doping, ma si era ancora ben lontani dal capirne la sua pericolosità. Infatti vi furono forti sospetti sulla morte di un ciclista danese, venne data la colpa al grande caldo, ma non bastò a cancellare i sospetti, rimasti senza prove certe. Per quanto riguarda la boxe due tra gli uomini copertina furono: Nino Benvenuti e soprattutto Cassius Clay, non ancora divenuto Mohammed Alì. Quest'ultimo mostrò le sue doti istrioniche prima ancora che sul ring, pure sull'aereo che lo portava verso la capitale. Per quanto riguarda l'atletica leggera fecero la parte del leone le Tigerbelles, allenate da Ed Temple. Tra queste la storia di Wilma Rudolph sarebbe stata perfetta per la canzone di Gianni Morandi Uno su mille. L'uomo più veloce al colpo di pistola dello starter senza commettere falsa partenza e capace di sorprendere gli sprinter Usa sui 100 metri piani, fu il tedesco Armin Hary. Gli statunitensi furono battuti pure sui 200 metri dal piemontese Livio Berruti, giovane studente di chimica all'università di Torino. La suggestiva maratona si disputò in notturna. Sorprese tutti e vinse l'etiope Abebe Bikila. Il maratoneta scalzo servì sportivamente parlando all'Italia il piatto freddo della vendetta, dopo le guerre coloniali.

In mezzo alla storia, allo sport e alla politica nel libro si parla pure del fatto che le Olimpiadi, televisivamente parlando, non erano ancora l'evento di portata planetaria di oggi. Presto però tutto sarebbe cambiato. Meglio il romanticismo dello sport primordiale o quello odierno schiavo del dio denaro e del doping? Soprattutto come è cambiata in peggio Roma, che vorrebbe nuovamente le Olimpiadi nel 2024. Siamo ben lontani dalla Grande Bellezza.