... Ho visto coi miei occhi saltare in alto
due metri e 35 centimetri
Ventrale
A Vladimir Yashchenko
Non so se ci siamo spiegati...

L'episodio citato dagli Offlaga Disco Pax nella prima frase della loro "Ventrale" ha una precisa collocazione di data e di luogo. Milano, campionati europei di atletica leggera, anno 1978. Fu allora che l'ultimo romantico della tecnica ventrale, il sovietico Vladimir Yashchenko, segnò la storia del salto in alto: la rincorsa, leggera, ritmata, quindi il balzo dritto oltre l'asticella sospesa a 2,35 di altezza e l'atterraggio trionfale sul materassone. Oro continentale e record del Mondo indoor per lui. Il giorno dopo quell'incredibile impresa firmata da Volodja - così come era soprannominato Yashchenko - sulla prima pagina della "Gazzetta" comparve un fotomontaggio con lui che saltava una cabina telefonica, alta proprio la misura saltata il giorno prima dal giovane russo.

La cui parabola è meravigliosamente raccontata da Giuseppe Ottomano e Igor Timohin ne "Il volo di Volodja" (Miraggi Edizioni): l'infanzia nella cittadina ora ucraina di Zaporozje, l'incontro con Vasilij Telegin - suo mentore e demiurgo - le prime folgoranti apparizioni, l'ascesa, fino all'apice già citato dell'Europeo di Milano.

Culmine di una carriera, ma anche inizio della discesa agli inferi. Simbolo del modello di atleta socialista, vincente e forgiato dal duro lavoro, presto logorato da questo onere: tanti impegni agonistici, il fisico che comincia a presentare il conto fino al drammatico crack del 1979 al meeting di Kaunas, dove saltano i crociati del ginocchio. Una disdetta, a un solo anno dalle Olimpiadi di Mosca, dove c'era grande attesa per le prestazioni di Volodja e che invece acclamerà il tedesco dell'est Gerd Wessing come nuovo re della specialità.

Quanto a Yashchenko, che quel giorno era presente in tribuna allo Stadio Olimpico, la sua parabola discendente era già cominciata: ci proverà a tornare a saltare, ma nei meeting a cui prese parte apparve solo l'ombra del grande campione che era stato. Nella sua ultimissima esibizione saltò a stento 2.10, prima della più mesta fra le uscite di scena. Con la fine del volo di Volodja, finì anche un'epoca dell'atletica leggera e lo scavalcamento ventrale fu per sempre consegnato ai libri di storia, mentre alcolismo e depressione divennero le più intime compagne di viaggio di Yashchenko, fino alla cirrosi epatica che lo uccise a solo 40 anni, in assoluta povertà e indigenza.

Nobilitato dagli interventi di Franco Bragagna - che ne cura la prefazione - e da un ricordo del prof. Carlo Vittori, "Il volo di Volodja" è un prezioso gioiellino che restituisce al lettore la figura controversa e a tratti romantica (nell'accezione più pura del termine) di uno dei più grandi intepreti del salto in alto. Eroe ed antieroe allo stesso tempo, immolato sull'altare della contrapposizione Usa - Urss negli anni tanto bui quanto affascinanti della Guerra Fredda.