L’immagine della squadra azzurra è resa splendente da un lungo periodo di imbattibilità: nelle due amichevoli per il Settantacinquesimo anniversario della Federcalcio, la nostra Nazionale batte sia il Brasile a Roma sia l’Inghilterra a Torino e, per la prima volta, sconfigge l’Inghilterra a domicilio, espugnando il mitico stadio di “Wembley” con un goal di Fabio Capello.

È il momento, dunque, di pensare in grande; di questo se ne occupano la mente Carraro, che ha ceduto da tempo la presidenza del Milan e studia da super dirigente sportivo e l’esecutore Allodi, che desidera affermare le proprie capacità organizzative e di conduzione dimostrate nell’Inter e, soprattutto, nella Juventus del presidente Boniperti.

Gli accompagnatori dei ventidue azzurri sono venti persone, fra dirigenti, assistenti e tecnici; il budget messo a disposizione è molto generoso, i premi sono alti, le pubbliche relazioni curatissime. Nessun particolare è trascurato; gli accoppiamenti nelle stanze obbediscono a criteri finemente psicologici: il vulcanico Chinaglia dorme col pacifico Zoff, Mazzola prepara la regia della squadra con Capello, Rivera prende lezioni di grinta da Burgnich, Bellugi e Morini, in lotta aperta per la maglia di stopper, devono dividersi fraternamente la stanza.

Ma sotto la scintillante corazza dell’efficientismo, c’è un vulcano pronto ad eruttare problemi tanto seri quanto, per buona parte, inavvertiti. Artemio Franchi è diventato anche presidente dell’Uefa e deve, quindi, proteggere la propria immagine internazionale, evitando di curare troppo gli interessi italiani e, nello stesso tempo, prevenire ribellioni ed episodi clamorosi nel clan azzurro. In sostanza, anche nella Nazionale, come in tutta la Federcalcio, non si muove foglia che il dirigente toscano non voglia.

Il primo grosso problema per Ferruccio Valcareggi è il campionato appena concluso, che ha visto la Juventus mancare lo scudetto ed accingersi a sostituire Vycpalek con Parola, il Milan perdere sia il campionato sia la Coppa delle Coppe (nella finale con il Magdeburgo, una modesta squadra della Germania dell’Est) ed ingaggiare Giagnoni, l’Inter andare a picco, nonostante il ritorno in panchina del “Mago” Herrera e costretta a rilanciarsi, affidando la panchina all’inesperto Luis Suarez.

Lo scudetto lo vince la Lazio di Maestrelli, squadra di straordinaria efficienza tattica e collettiva, ma avara di fuoriclasse e, dunque, fatta apposta per creare dei grossi dubbi ad un commissario tecnico: o trasferisci la squadra in blocco o hai poco da prendere. Valcareggi sposa la seconda ipotesi e nella lista dei ventidue convocati, sono appena tre i Campioni d’Italia: Chinaglia, Wilson e Re Cecconi.

C’è poi, il vecchio credito di stima e di rispetto che il Commissario Tecnico vanta nei confronti dei “Messicani” vice campioni del mondo. Gladiatori come Facchetti e Burgnich sono, nonostante l’età, personaggi intoccabili e sui destini azzurri continua a gravare la questione Rivera-Mazzola. Entrambi hanno superato la trentina, sono rispettivamente al quarto ed al terzo Mondiale, ma l’idea di mandarli in pensione terrorizza i vertici del calcio italiano, per il putiferio che si scatenerebbe fra i tifosi interisti e milanisti.

Valcareggi non ha dubbi e pensa di avere raggiunto la quadratura del cerchio evitando la staffetta: Rivera fa il rifinitore e Mazzola, rassegnatosi alla maglia numero sette, si finge ala destra; in questo modo il centrocampo offre una certa consistenza atletica, grazie alla solidità del regista Capello ed all’instancabile propulsore di Benetti.

Il problema più grosso, però, viene proprio dall’unico giocatore fuori discussione: “Gigi” Riva. Il fuoriclasse del Cagliari è reduce da un grave infortunio, non gioca da circa un mese ed il suo apporto è limitatissimo, ma nessuno si sogna di metterlo in discussione. Caso mai, ed ecco dove sta il vero dilemma, bisogna decidere quale centravanti gli va messo al fianco, chi insomma può essere più utile al recupero accelerato di Riva.

L’Italia, come abbiamo visto, ha disputato uno splendido pre mondiale e la formazione base è praticamente già fatta. Sono assegnate le maglie ai giocatori per il Mondiale ma, anziché in ordine alfabetico secondo i ruoli come si fa adesso, i giocatori ritenuti titolari ottengono la maglia dall’uno all’undici. Si rivelerà un grave errore psicologico, perché chi non è compreso nei primi undici si sente escluso in partenza.

Come base del ritiro, è scelto il castello di Ludwigsburg, tra boschi, vigneti e frutteti, quindici chilometri fuori Stoccarda. Quello che avrebbe dovuto essere un ritiro ideale, in un albergo isolato, il “Mon Repos”, con un grande parco, un laghetto, stanze fin troppo accoglienti, si trasformerà in una bomba ad orologeria. Ogni clan ha un suo punto di ritrovo, ben separato dagli altri. L’unica cosa che tiene unito l’ambiente è uno sbarramento di poliziotti che, mitra alla mano, vieta l’ingresso agli estranei.

Sono troppe le mine innescate, ma nessuno se ne accorge, neanche quando cominciano ad aprirsi le prime falle nella nave azzurra. A Como, alla prima uscita per un allenamento, Chinaglia è subissato di fischi dai tifosi juventini, che vorrebbero titolare Anastasi, e da quelli interisti, che reclamano Boninsegna.

Nel ritiro di Firenze, Juliano del Napoli, spara la prima bordata in sintonia con il laziale Giuseppe Wilson, napoletano di nascita: «Sono demoralizzato, è il terzo Mondiale in cui sono convocato senza alcuna speranza di giocare. Una volta perché c’era Bulgarelli, un’altra perché c’era De Sisti, ora perché c’è Capello. Possibile che io debba sempre essere considerato inferiore a qualcuno? Guardate Zoff: quando stava nel Napoli, titolare era Albertosi; poi è passato alla Juventus e tutto si è rovesciato».

Scatta il piano di emergenza: Carraro ed Allodi vogliono spedirlo subito a casa e chiamare al suo posto De Sisti; Valcareggi, sempre in contatto diretto con Franchi, si oppone e Juliano rimane. Viene, però, ribadita a parole, la linea dell’assoluto rigore disciplinare, già enunciata il giorno del raduno: d’ora in poi, chi sgarra va a casa.

Nell’amichevole di Vienna contro l’Austria, l’Italia, che deve rinunciare a Riva vittima di uno stiramento, pareggia 0-0, offrendo una prestazione preoccupante, Chinaglia è sostituito da Anastasi all’inizio della ripresa ed il cannoniere laziale dichiara: «Ho accettato la staffetta questa volta, ma non sono più disposto a farlo. È la prima ed ultima volta; a me le partite piacciono giocarle fino in fondo».

Eppoi una stoccata a Mazzola ed a Capello: «Noi punte ci siamo mosse, ci siamo smarcate, ma abbiamo ricevuto pochi lanci, perché la manovra ristagnava a centrocampo, con passaggi inutili».

A questo punto tutti si chiedono se Chinaglia sarà rispedito in Italia, secondo il “dictat carrariano” di Firenze. Prima di ogni qualsiasi risposta, un altro laziale, Re Cecconi, a caccia di un posto a centrocampo, si scaglia contro Rivera e Mazzola: «Uno riuscivano a sopportarlo in Messico, perché in campo c’erano anche Bertini e Domenghini, che si sacrificavano. Due, adesso, è proprio impossibile digerirli. Ma chi può andare contro quella gente là? Loro arrivano dove noi poveretti non possiamo arrivare».

Un altro scontento è “Bobo” Boninsegna che, da centravanti titolare qual era stato designato, si ritrova addirittura il terzo della lista, dopo Chinaglia ed Anastasi. E pensare che, se proprio si cerca un elemento affiatato con Riva, non c’è nessuno più adatto di lui, che ha giocato mille volte insieme al cagliaritano, sia con la squadra sarda, sia in Nazionale. Poi c’è Causio che non ha digerito la decisione di Mazzola di mettersi all’ala destra, occupando il posto che avrebbe dovuto essere suo.

Una polveriera. ma Carraro non si preoccupa: «L’atmosfera è tranquilla e ritengo di poter escludere che ci siano giocatori più contenti ed altri meno. Siamo tutti qui per lavorare e lo stiamo facendo con serenità. L’unico che ha detto qualcosa fuori dalle righe è Chinaglia, ma le sue dichiarazioni mi sembrano naturali; è ovvio che preferisca giocare un’intera partita invece di mezza».

Le direttive di Franchi sono quelle di negare, coprire, minimizzare i problemi di questa squadra che è tutto fuorché unita, nell’attesa che la prevedibile larga vittoria su Haiti, nella partita di esordio a Monaco, faccia sparire ogni tentativo di ribellione e spiani la strada verso la conquista del Mondiale.

Antoine Tassy, simpatico e rotondo allenatore haitiano, alla vigilia della partita con l’Italia, avverte i cronisti: «Il mio amico Helenio Herrera mi ha insegnato un mucchio di cose riguardanti il calcio italiano».

In pratica, Tassy, non si considera l’ultimo arrivato e, pur riconoscendo i grossi limiti della propria squadra, cerca di far intendere che difendersi resta sempre l’arma migliore, per non essere travolti. Poi, se eventualmente fosse riuscito un contropiede, Haiti avrebbe vissuto il suo momento di gloria.

Cinquantamila italiani gremiscono lo stadio “Olimpico” di Monaco per il debutto della Nazionale contro Haiti. Tutti parlano di goleada, di una facile passeggiata ed invece, dopo pochi minuti, aleggia sullo stadio l’incubo di un’esperienza vissuta otto anni prima in Inghilterra, contro la Corea.

L’attaccante haitiano Emmanuel Sanon, detto “Manno”, in una classica azione di contropiede, lascia in surplace Spinosi, percorre mezzo campo in solitudine ed infila Zoff, meglio di come avrebbe fatto un campione affermato. Il portiere azzurro era imbattuto da 1.143 minuti: dopo la rete di Vukotic al 13’ di Italia - Jugoslavia a Torino il 20 settembre 1972, per dodici partile consecutive non aveva subito un goal.

Sanon guadagna 200 Dollari al mese giocando da centravanti nella squadra haitiana del “Don Bosco di Petionville”. Proviene dall’atletica e c’è chi dice che poteva essere un eccellente sprinter. È il pupillo del dittatore Duvalier ed è cresciuto in un quartiere dalle caratteristiche simili al “Bronx”, nel quale si impara presto a sopravvivere alle violenze. Al ritorno in patria sarà accolto come un re, con onorificenze, soldi, lauree ad honorem ed un contratto per giocare all’estero, in Belgio e negli Stati Uniti. Scriverà anche un libro sulla sua vita ed il sindaco di Miami gli darà le chiavi della città.

Il centrocampista haitiano Philippe Vorbe racconta: «Per noi haitiani quella partita resta il massimo risultato mai raggiunto. Giocammo alla pari con gli azzurri per un tempo eppoi riuscimmo a beffare Zoff. Tutta Haiti era in festa, orgogliosa di noi e di sé stessa».

Il pareggio arriva dal vituperato Rivera (con Mazzola, il migliore in campo), l’autorete di un giocatore haitiano ci porta in vantaggio. A questo punto Valcareggi decide di inserire il più agile Anastasi, che segnerà il terzo goal, al posto di Chinaglia, troppo irruente e, soprattutto, troppo nervoso. Chinaglia, uscendo dal campo, passa vicino alla panchina azzurra e manda a quel paese tutti i suoi occupanti: chiarissimo il movimento labiale ripreso in televisione, inequivocabile il gesto della mano. Una volta negli spogliatoi, completa la sua opera, scagliando sei bottiglie di vetro d’acqua minerale contro porte e pareti.

Quella notte si susseguono le voci più disparate c’è chi dice che Chinaglia è scappato, che non ha mangiato con gli altri e che nessuno l’ha più visto. Un’altra voce riferisce che Carraro gli ha intimato di chiedere scusa a Valcareggi ed a tutti gli altri in panchina, pena l’espulsione dalla Nazionale.

Dopo tanti anni Chinaglia racconta: «Dove andai? Gironzolai per due ore nel parco dell’albergo ed andai a prendere un paio di drink al bar. Sembrava che mi fosse caduto il mondo addosso, mi sentivo tradito, abbandonato. Nessuno capiva la psicologia dell’emigrante, che idealizza la patria, la bandiera, la maglia della squadra nazionale, che si sente solo e si è quindi abituato a reagire con aggressività ad ogni torto, vero o presunto, che crede di subire. Non ho mai pensato di lasciare la Nazionale. Volevo soltanto restare solo con la mia delusione, la mia rabbia».

Ma era il caso di fare quel gestaccio? «Eh, sì, loro mi applaudivano dalla panchina. Mi prendevano per il sedere. Che c’è da applaudire uno che è sostituito in campo? Quella era una Nazionale che doveva vincere il Mondiale. Eravamo imbattuti da due anni. Avevamo piegato il Brasile e due volte l’Inghilterra nell’ultimo anno e mezzo. Gli uomini c’erano. La verità è che la Nazionale si portava appresso da quattro anni il problema Rivera Mazzola. Era tutto prestabilito: poiché non si poteva ripetere la staffetta Rivera Mazzola, sarebbe stata fatta la staffetta Chinaglia Anastasi. Sperimentata in pre mondiale a Vienna, applicata nel Mondiale contro Haiti. Valcareggi c’entrava poco, in questa strategia».

Erano, dunque, stati Carraro ed Allodi a non tener conto dell’ultimatum di Chinaglia?«Il guaio di quel Mondiale fu che, mentre facevamo il provino a Vienna e ci insediavamo a Stoccarda, il presidente Franchi se ne andò a Francoforte per il congresso della Fifa. Se fosse rimasto con noi, certe cose non sarebbero successe. Dopo il mio sfogo, Carraro ed Allodi volevano mandarmi via, fu Franchi a dire: “No, per carità, se lo cacciamo ne facciamo un martire”».

All’indomani di Italia - Haiti, Chinaglia rifiuta di fare la pace con Valcareggi poi, richiamato da Carraro, promette di non polemizzare ulteriormente. Ma appena capisce che sarà escluso dalla formazione che scenderà in campo contro l’Argentina, esplode nuovamente: «Sono falsi, mi avevano garantito il posto nelle prime due partite del girone degli ottavi. Sono stato sostituito nella prima ed ora non so neanche se vado in panchina od in tribuna per la seconda. In questa Nazionale non c’è niente di chiaro. I dirigenti mi hanno detto cento cose, nessuna vera. Nessuno ha il coraggio di parlare chiaro. La Lazio ha vinto lo scudetto e non ha neanche un titolare in Nazionale. Altri club, quando vincono il campionato, hanno otto giocatori in azzurro. Noi laziali, per averne uno, dovremo vincerne otto, di scudetti.


Un controsenso anche la spiegazione di Valcareggi per la mia sostituzione: mi ha tolto proprio quando, andati in vantaggio, si stava profilando una situazione favorevole ai miei mezzi tecnici. Mi rimproverano il gestaccio di Monaco? Guardate che a me non rimprovera niente nessuno, in questa Nazionale c’è gente che ha fatto di molto peggio. Mi rammarico per il gesto, non per le opinioni che, come vedete, non esito a rendere pubbliche».

Bisogna sapere chi è Giorgio “Long John” Chinaglia nel 1974, per capire la sua indomabile forza polemica. Nato a Massa Carrara, ventisette anni prima, è ancora un bambino quando suo padre lo porta a Cardiff, in Galles, dove emigra per fare il cameriere in un ristorante. Qui pratica prima il rugby eppoi il calcio; il padre gli fa scoprire a quattordici anni anche la vocazione patriottica quando, sorprendendolo a tifare per una squadra britannica contro un’italiana, gli riempie la faccia di ceffoni.

Nel 1966, a diciannove anni, torna in Italia ed è acquistato dalla Massese. Tre stagioni in Serie C con Massese ed Internapoli, poi l’approdo alla Lazio nel 1969. Nel 1974 è campione d’Italia con la squadra capitolina e vince il titolo di capocannoniere, diventando un personaggio popolarissimo e discusso, abituato a gesti plateali. Nel 1973, quando la Lazio perde lo scudetto a Napoli nell’ultima giornata di campionato, Chinaglia risponde ai fischi del pubblico partenopeo andando sotto la curva a mostrare le corna. Negli spogliatoi laziali si azzuffa con l’allenatore Lorenzo, con i compagni Martini, Re Cecconi e Frustalupi, ha pure qualche battibecco con Maestrelli.

Dopo la burrascosa fine di un derby, mentre tifosi laziali e romanisti si pestano sulle tribune, lui si riveste in fretta e torna in campo per mostrare ai tifosi avversari, inferociti, il piede con il quale ha battuto il rigore decisivo. Il gesto di Monaco è, dunque, in sintonia con il suo carattere istintivo e spontaneo e la reazione dell’opinione pubblica è perfettamente proporzionata alla sua popolarità. Temendo, quindi, ripercussioni vastissime. Franchi orienta lo staff azzurro verso una posizione di rassegnazione e perdono.

Martedì 18 giugno 1974 è giornata di vigilia nel ritiro azzurro; l’indomani, al “Neckarstadion”, si gioca Italia-Argentina, una partita chiave per le speranze di qualificazione degli azzurri. Nel parco del “Mon Repos” c’è un’agitazione frenetica; dirigenti, tecnici, consulenti occasionali e, soprattutto, giornalisti vanno avanti ed indietro tra la palazzina degli alloggi dei calciatori, l’ufficio di Italo Allodi e la hall del club house.

Alle 10:30 arriva Giorgio Chinaglia il quale dice, sorridendo: «Quando esprimevo le mie opinioni non pensavo certo ad eventuali punizioni. Mi mandano a casa? Bene, vuol dire che anticipo le vacanze. Mi chiedete se ho fatto un esame di coscienza? Lo faccio sempre prima, perciò non ritraggo nulla e non mi pento di niente. Mi ricordate che ci sono delle regole? È vero, ma in questa Nazionale non sono mai state rispettate».

Durante la discussione tecnica fra i calciatori e Valcareggi. Burgnich tenta di prendere le difese di Chinaglia, ma è severamente rimproverato dal Commissario Tecnico; Alfredo Casati, braccio destro di Allodi, si lascia sfuggire, davanti ai giornalisti, che Chinaglia sarà mandato a casa e sospeso per tre anni dalle convocazioni azzurre. Un’ora più tardi, si presenta Valcareggi, che si sta battendo contro l’espulsione di Chinaglia, e dice: «Penso di non essere io il suo bersaglio. Oggi ci sarà una riunione e sentiremo il presidente Franchi».

Carraro convoca urgentemente Tommaso Maestrelli, allenatore della Lazio, per cercare di domare l’imbizzarrito Chinaglia. La Federazione ha messo a disposizione a Maestrelli un aerotaxi, cosa non frequentissima, nel 1974, e questo rende l’idea dell’importanza e della delicatezza dell’operazione. Dopo vari colloqui, Carraro, Allodi e Chinaglia appaiono nella sala delle conferenze stampa.

Il Commissario Tecnico Valcareggi è assente. Carraro informa i giornalisti: «Ieri mattina e stamattina la direzione azzurra si è riunita ed ha deciso di mandare Chinaglia a casa. Non per le dichiarazioni, ma per il comportamento da giocatore non inserito ed a disagio nell’ambiente azzurro. Dopo ripetuti colloqui con Chinaglia, abbiamo, però, cambiato idea ed abbiamo deciso che il giocatore resterà».

Chinaglia dice: «Ho parlato dieci minuti fa con Carraro, Allodi e Maestrelli ed ho chiarito. Ho parlato con i miei compagni dicendo loro che non serbo rancore e che so di avere sbagliato nei confronti di un paio di loro». Per la cronaca, Sandro Mazzola e Fabio Capello.

Carraro confessa: «Stamattina pensavo che Chinaglia dovesse essere mandato a casa. Poi ho capito che il giocatore è stato tradito dalla tensione del Mondiale. Ora ha assunto un atteggiamento di chiarezza e umiltà. Siamo già stati elastici con Juliano, dobbiamo esserlo anche con Chinaglia».

Allodi è furente e dopo qualche giorno si ritira nei suoi uffici, astenendosi da ogni intervento. Anche Enzo Bearzot, prende le distanze; nella storia di questo Mondiale, il futuro Commissario Tecnico Campione del Mondo recita un ruolo da protagonista per aver suggerito a Valcareggi di far marcare l’argentino Houseman a Capello. Bearzot ha sempre negato, dicendo di essersi limitato ad osservare la partita Polonia-Argentina e, quindi, di non aver dato alcun suggerimento riguardante le eventuali marcature da applicare.

Houseman è un peperino vivacissimo, che gioca in posizione arretrata se è marcato da un difensore e gioca avanzato se lo contrasta un centrocampista. Si regola così anche contro l’Italia, costringendo Capello ad inconsuete mansioni di terzino: Valcareggi, a partita in corso, cambia la marcatura, mettendogli addosso Benetti, centrocampista con durezza di terzino. In realtà, furono gli azzurri in campo a decidere quella mossa con un consulto fra Rivera e Burgnich, considerato che dalla panchina non arrivava nessun ordine. La mossa, però, è attuata, quando Houseman ha già portato in vantaggio l’Argentina. L’Italia riesce casualmente a pareggiare nella ripresa, grazie ad un’autorete di Perfumo. Rivera, marcato spietatamente da Telch, non tocca palla ed è sostituito da Causio; nessuno in quel momento può immaginare che sarà l’ultima partita in Nazionale per il capitano del Milan.

A pochi minuti dalla fine Mazzola ha nei piedi la palla della vittoria. «Feci un doppio scambio con Riva ed entrai in area», racconta il celebre “Baffo”, «il portiere Carnevali mi venne incontro: era troppo vicino e se avessi calciato forte gli avrei mandato la palla addosso. Così tentai un colpo di finezza: accarezzai la sfera con l’interno destro per aggirare il portiere. Il pallone avrebbe dovuto dirigersi fuori dallo specchio della porta per poi rientrare, grazie all’effetto e finire in rete.


In effetti, il pallone viaggiò rasoterra, cominciò a rientrare, poi, all’improvviso ritornò di colpo a sinistra ed uscì senza nemmeno colpire il palo! Io rimasi lì, come un allocco: non era possibile, pensai. Guardai il prato vicino al montante e vidi uno strano rigonfio. Andai a controllare: qualcuno aveva sostituito proprio in quel punto una zolla d’erba, ma non aveva sistemato a dovere quella nuova che formava una montagnetta. La palla, leggera e lentissima, aveva colpito quella zolla ed era schizzata fuori! Con quel goal avremmo passato il turno!»

Finisce, invece 1-1 ed, a peggiorare le cose, giunge da Monaco la notizia che la Polonia ha rifilato sette goals (a zero) ad Haiti. Sanon e compagni, dopo il mezzo miracolo nella partita d’esordio, sono ritornati alla loro dimensione normale e, poiché è presumibile che subiranno molti goals anche dall’Argentina, l’unica possibilità per l’Italia di restare al Mondiale è quella di non perdere con la Polonia.

La delusione è enorme; la squadra che avrebbe dovuto vincere il Mondiale, rischia di uscire al primo turno; logico cercare un capro espiatorio. La critica avrebbe il dovere di spiegare che i “Messicani” sono sul viale del tramonto, come già annunciato dalla precoce eliminazione dall’Europeo del 1972; di aggiungere che le profonde lacerazioni del gruppo tolgono ogni possibilità di lottare tutti per lo stesso obiettivo; di fare capire che le contraddizioni e le debolezze dello staff dirigente hanno oramai vanificato ogni speranza di ricompattare il gruppo.

Invece, la colpa è data a Rivera; paladino di questa crociata è Gianni Brera che, poco dopo l’amichevole di Vienna, scrive che l’abatino inciampa nelle primule. Immagine deliziosa, ma smentita dai fatti; è stato Rivera a segnare il goal del pareggio che ha salvato la squadra azzurra contro Haiti ed è stata una sua penetrazione a provocare l’autorete di Perfumo, che ci ha permesso di pareggiare contro l’Argentina.

Il “Golden boy” si arrabbia di brutto, convoca i giornalisti e lancia il suo ultimatum:«Contro l’Argentina sono incappato in una di quelle giornate che capitano una volta ogni cinque anni. Sostituirmi è inutile, perché un solo giocatore non può cambiare la squadra. Se mi escludono, la Nazionale non m’interessa più».

Il discorso del capitano milanista va letto fra le righe: è un’accusa a tutto l’ambiente che continua a difendere “Gigi” Riva, nonostante sia fuori forma. Franco Carraro si schiera con Rivera, convinto che, a parità di condizione fisica, il capitano milanista può sempre risolvere la partita, mentre Riva fuori condizione è un peso per la squadra. Carraro impone a Valcareggi (che metterebbe in campo Riva, anche se avesse solo una gamba) di escludere il cagliaritano dalla formazione titolare.

Allodi, ammiratore assai tiepido del milanista, non accetta di buon grado questa decisione ed informa prontamente Franchi. Il presidente, trova politicamente saggio il compromesso di escludere entrambi, e decide, salomonicamente, in questo modo.

Tre giorni prima, all’indomani del nostro stentato pareggio con gli argentini e del 7-0 con cui la Polonia ha massacrato Haiti, è organizzata una festa per la stampa internazionale, sponsorizzata da una fabbrica locale. Musica, birra, salsicce, hostess: finisce all’alba, con molti ubriachi e con i giornalisti americani che si portano via le lampade come souvenir. All’inizio della festa, tale Zbignew C., unico giornalista al seguito della Nazionale polacca, raggiunge un collega italiano suo amico, che sta conversando con altri due giornalisti italiani.

Zbignew C. non parla tanto bene la nostra lingua, ma riesce a farsi capire in modo preciso: «Non facciamoci troppo male domenica, non ne vale la pena e può nuocerci per il resto del Mondiale. Noi siamo virtualmente già qualificati, ma vorremmo avere la certezza di arrivare primi nel girone, in modo da rimanere a Stoccarda ed incontrare, nei quarti, un’avversaria meno forte. Voi avete molti problemi, se perdete siete fuori, col pareggio restate secondi, ma avete la certezza di qualificarvi; parlane con i dirigenti della Federazione italiana. Se siete d’accordo, lasciate fuori Chinaglia ed Anastasi; quello sarà il segnale e noi lasceremo fuori Szarmach».

I tre giornalisti italiani restano senza parole; non hanno alcuna dimestichezza con queste operazioni e, soprattutto, non hanno alcuna veste per trattarle. Il collega polacco non molla ed anzi, per dare ufficialità alla sua proposta, invita un dirigente della federazione calcistica della Polonia. L’uomo non parla l’italiano, ma in qualche modo riesce a far capire che la proposta del suo connazionale ha il benestare della delegazione polacca. I giornalisti italiani abbandonano la festa e tornano in albergo.

«Andai subito ad avvertire il mio capo», racconta uno dei tre giornalisti, «il quale mi autorizzò a riferire a Franchi il messaggio di combine di cui ero stato fatto ambasciatore, ma mi ingiunse di non scrivere una riga di quella storia. L’avremmo invece riferita se fossimo stati eliminati. Chiamai al telefono il presidente Franchi e descrissi per filo e per segno personaggi, circostanze e discorso. Franchi non disse una parola. prese atto e, col solito garbo, mi ringraziò e mi salutò.


Quando il giorno dopo sentii che anche Riva rischiava il posto, capii, prima degli altri, che avrebbero giocato Chinaglia ed Anastasi. La sera della partita, nella tribuna stampa del “Neckarstadion”, dopo il secondo goal di Deyna, il collega polacco cominciò a sbracciarsi ed ad urlarmi, rosso in viso: “Vi sta bene, avete voluto fare i furbi, ora ve ne tornate a casa!” Scrissi la storia all’indomani dell’eliminazione, secondo le disposizioni impartite dal mio responsabile».

Per quale motivo Franchi non abbia accettato questa proposta è difficile da capire ma, più probabilmente, Franchi, arrivato da appena un anno alla presidenza dell’Uefa ed in predicato di rivestire cariche internazionali sempre più prestigiose, non aveva nessuna intenzione di esporsi in questo modo.

Contro la Polonia, nella partita decisiva, giocano Chinaglia ed Anastasi, con Mazzola interno e Causio all’ala destra. Il sole batte forte quel pomeriggio a Stoccarda per la partita con la Polonia al “Neckarstadion”; tantissimi italiani gremiscono lo stadio, sventolando migliaia di bandiere tricolori, piene di speranza. A sorpresa, giochiamo per vincere. Ci basterebbe difendere il pareggio e tenere buoni i polacchi, partiamo invece all’attacco.

L’Italia ha due nitide palle goal nei primissimi minuti: sulla prima Anastasi subisce un evidente fallo da rigore commesso dal gigantesco libero Gorgon. Poi su un intervento mancato del portiere Tomaszewski, né Chinaglia, né Anastasi riescono ad infilare la palla in rete.

Alla mezzora Burgnich s’infortuna e deve essere sostituito da Wilson. La nostra nazionale perde un punto fermo della difesa; Wilson non ha tanta intesa con i proprio compagni ed i polacchi passano in vantaggio. C’è un cross di Kasperczak e Szarmach, un altro dei giganti polacchi, anticipa Morini e di testa mette in rete. Passano sei minuti e l’elegante Deyna infila Zoff con un tiro al volo dal limite. Siamo al tappeto e fuori dal Mondiale.

Durante l’intervallo è lanciata l’idea, tardiva oltre che scorretta, di mandare qualcuno nello spogliatoio polacco per invocare il pareggio. L’incaricato dovrebbe essere Sandro Mazzola: il giocatore interista è una persona equilibrata, seria, diplomatica e prestigiosa. Chiaramente, la preghiera deve essere resa più convincente dalla presenza di robuste mazzette di Dollari, che avrebbero costituito un regalo abbagliante ed insperato per i calciatori della Polonia, che non navigavano di certo in mezzo all’oro. Mazzola s’indigna: «Mi rifiutai subito. Dissi che quelle cose non le facevo e basta».

Nella ripresa gioca Boninsegna al posto di Chinaglia. In avvio. Anastasi scocca un tiro da fuori, un bel sinistro radente che colpisce in pieno il palo. Tomaszewski compie un intervento prodigioso sventando un gran colpo di testa di Facchetti, avanzato per l’occasione. Non si passa ed i minuti trascorrono inesorabili. Quando arriva il goal di Capello all’85simo, è troppo tardi, la partita termina 2-1 per la Polonia.

Il Mondiale resta attaccato ad un filo, alla partita dell’Argentina contro Haiti; solamente la differenza reti può salvarci, ma paghiamo il magro 3-1 iniziale con gli haitiani, perché gli argentini li sconfiggono per 4-1 e ci sopravanzano di un goal. Tanto basta per tornare a casa.

Ancora Mazzola: «Purtroppo per l’Italia, il passaggio al girone semifinale è saltato a causa di un goal di meno all’attivo, rispetto all’Argentina. Tutti, o per lo meno la maggioranza dei critici, hanno fatto risalire quell’eliminazione a mille piccoli motivi contingenti, Sanon, Chinaglia, il “Mon Repos” e via discorrendo. Secondo me, e nessuno ci ha pensato mai, è stato decisivo il portiere haitiano, il quale nella prima parte dell’incontro con l’Italia ci ha neutralizzato quattro palle goals, che gridano ancora vendetta.


Sul piano della curiosità, ricordo invece un episodio che può illustrare gli stati d’animo imperanti nella comitiva azzurra. Dopo la partita con Haiti, Chinaglia era introvabile. I dirigenti lo cercarono, ma non vollero dirci nulla, al punto che tememmo in qualche disgrazia. Rientrò invece tardi, ma i responsabili della comitiva continuarono a tenerci all’oscuro di tutta la verità, non sapendo invece che noi oramai la conoscevamo benissimo».

Scatta il momento dei cambiamenti, delle rivoluzioni, delle rifondazioni. Il primo a pagare è chiaramente Valcareggi. Il suo ciclo è finito, dopo sette anni; Valcareggi ha perso solo due partite su cinquantaquattro, ha vinto un Campionato d’Europa, è arrivato secondo al Mondiale messicano, ma il tempo a sua disposizione è terminato.

Due partite l’hanno tradito: quella a Bruxelles, che ci ha tagliato fuori dall’Europeo del 1972, e questa di Stoccarda, che ci elimina da un Mondiale affrontato tra i favoriti. Con lui lasciano la Nazionale anche i “Messicani” e, soprattutto, Rivera, Mazzola e Riva.

Piazza pulita, quindi, giocatori nuovi, mentalità nuova; si invoca tutto e subito. Incantati dal gioco dell’Olanda, si riapre il processo alle nostre tattiche difensivistiche. È dato l’incarico a Fulvio Bernardini, il “Dottor Fuffo”, fautore del bel gioco e dei piedi buoni.

Suo secondo è nominato Enzo Bearzot, il quale, qualche anno dopo, prenderà le redini della nostra Nazionale portandola a trionfare sul tetto del mondo.