Arcade Fire - Everything Now, la recensione di Vavel Italia
La copertina di Everything Now - genius.com

Ascrivibili fin dagli esordi al filone indie-rock del nuovo secolo, gli Arcade Fire hanno tuttavia sempre rappresentanto un unicum nel panorama musicale, capaci di fare dell'originalità il proprio punto di forza in tutti i lavori. A quattro anni di distanza da Reflektor, la band capitanata da Win Butler torna con un disco che, forse, segna uno spartiacque importante nel loro percorso musicale.

Il sound che i canadesi propongono in questo nuovo lavoro intitolato Everything Now è sostanzialmente pop, un po' retrò un po' moderno: non è un caso che tra i produttori figurino Thomas Bangalter (membro dei Daft Punk), Steve Mackey (bassista dei Pulp) e Geoff Barrow dei Portishead (tra i maggiori esponenti del movimento trip hop). L'album è caratterizzato da un mood decisamente positivo, allegro, con molti controcanti che richiamano al funk anni '70 e un uso massiccio dei synth, ormai d'uso quotidiano nell'indie - che sia pop o rock, ormai la differenza conta poco o niente. La copertina rispecchia totalmente tali sonorità, rappresentando l'alba e una scritta al neon con il titolo dell'album, in un luogo apparentemente deserto.

Lungo l'ascolto del disco, sembra quasi che gli Arcade Fire abbiano composto giusto metà dei pezzi, e la restante parte l'abbiano affidata ai fratelli scarsi: si passa così dall'ottima title-track, costruita su tre accordi con una dinamica che non la rende ripetitiva, alla - questa sì - monotona Signs of Life, vero e proprio tributo ai "seventies", così come lo è Creature Comfort; si va dalla quasi psichedelica Peter Pan alla noiosissima Electric Blue, intrisa di falsetto ed effetti che la rendono insopportabile. Molto riuscito l'esperimento Chemistry, con una prima parte dai richiami swing che sfocia in un riff semplice ed efficace che continua fino alla fine del brano, mentre la cavalcata synth pop Put Your Money On Me è troppo prolissa con i suoi quasi sei minuti. Carina ma fine a sé stessa la coppia Infinite Content/Infinite_Content, consistente nello stesso testo, cantato nel primo caso su un riff di chitarra tipicamente indie rock e nel secondo su una base blueseggiante, con tanto di armonica. L'highlight del disco, è proprio l'ultima canzone, se si esclude l'outro Everything Now (continued): We Don't Deserve Love è un brano basato principalmente su un groove sincopato e un synth soffuso che si protraggono per tutti gli oltre sei minuti di durata, ma mai annoiando grazie anche ad un crescendo che conduce al finale in cui, così come gli strumenti, anche l'insegna luminosa dell'artwork si spegne e le ultime note del disco accompagnano l'ascoltatore verso il termine di questo viaggio musicale.

In definitiva, gli Arcade Fire regalano un disco al di sotto delle loro possibilità, lasciando il capitolo più significativo in fondo alla tracklist e infarcendo il resto con pezzi che poco hanno a vedere con l'originalità che ha sempre contraddistinto il gruppo; tuttavia, non si può dire che Everything Now sia un flop, perché se metà dei brani hanno tutta l'aria di essere dei filler poco riusciti, ci sono comunque altrettanti pezzi che sono sopra la media attuale, dimostrando di cos'è capace il sestetto di Montréal. Promossi a metà.

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